Solidarietà

Mi fermai a guardarli.

Lavoravano così, di notte, in quella via appartata, intorno alla saracinesca di un negozio.

Era una saracinesca pesante: loro facevano leva con un palo di ferro ma quella non si alzava.

Passavo di lì, solo e per caso. Mi attaccai anch’io al palo a far forza. Loro mi fecero posto.

Non s’andava bene a tempo; io feci «Ooh-op!» Il compagno di destra mi diede una gomitata e, piano: «Zitto! – mi disse – sei matto! Vuoi che ci sentano?»

Io scossi il capo come a dire che mi era sfuggito.

Ci mettemmo un po’ e sudammo ma alla fine l’alzammo tanto che si poteva passarci. Ci si guardò in faccia, contenti. Poi s’entrò. A me diedero da tenere un sacco. Gli altri portavano roba e la mettevano dentro.

«Purché non arrivino quei vigliacchi della polizia!» dicevano.

– Davvero – rispondevo io. – Vigliacchi che non sono altro! – Zitto. Non senti rumore di passi? – facevano ogni tanto. Io tendevo le orecchie con un po’ di paura. – Ma no, non sono loro! – rispondevo.

– Quelli arrivano sempre quando meno ce li si aspetta! – mi faceva uno.

Io scuotevo il capo. – Ammazzarli tutti, si dovrebbe – dicevo.

Poi mi dissero di andare un po’ fuori, alla svolta, a vedere se arrivava nessuno. Io andai.

Fuori, alla svolta, c’erano degli altri rasenti ai muri, nascosti negli angoli, che venivano avanti.

Mi ci misi anch’io.

– Dei rumori laggiù, verso quei negozi – disse quello che mi era vicino.

Io feci capolino.

– Metti la testa dentro, imbecille, che se ci vedono ci scappano un’altra volta – bisbigliò.

– Guardavo… – mi scusai e m’acquattai al muro.

– Se ci riesce di aggirarli senza che se ne accorgano – fece un altro – li prendiamo in trappola tanti quanti sono.

Ci muovevamo a balzi, in punta di piedi, trattenendo il respiro: ogni poco ci guardavamo l’un l’altro, con gli occhi lustri.

– Non ci scappano più – dissi.

– Finalmente riusciremo a coglierli con le mani nel sacco – fece uno.

– Era ora – dissi io.

– Cani di delinquenti, svaligiare così i negozi! – disse quello.

– Cani, cani! – ripetei io, con rabbia.

Mi mandarono un po’ avanti, a vedere. Capitai dentro il negozio.

– Ormai – diceva uno mettendo in ispalla un sacco – non ci pigliano più.

– Svelti – disse un altro – tagliamo via dal retrobottega! Così gli scappiamo di sotto al naso.

Avevamo tutti un sorriso di trionfo sulle labbra. – Resteranno con un bel palmo di naso – dissi. E si sgattaiolò nel retrobottega.

– Ancora una volta che li giochiamo come merli! – dicevano. Su quella si sentì: – Alto là, chi va là – e le luci si accesero. Noi ci acquattammo dietro un nascondiglio, pallidi, e ci prendemmo per mano. Quelli entrarono anche lì, non ci videro, girarono. Noi schizzammo fuori e via a gambe levate. – Glie l’abbiamo fatta! – gridammo. Io inciampai due o tre volte e rimasi indietro. Mi trovai in mezzo agli altri che correvano pure.

– Dai – mi dissero – che li raggiungiamo.

E tutti si galoppava pei vicoli, inseguendo. – Corri di qui, taglia di là – ci si diceva e quelli ci avanzavano ormai di poco, e si gridava: – Dai che non ci scappano.

Io riuscii a mettermi alle calcagna di uno. Quello mi disse: – Bravo, sei riuscito a scappare. Forza, da questa parte, che facciamo perdere le tracce! – e io mi accodai a lui. Dopo un po’ mi trovai solo, in un vicolo. Uno mi scantonò vicino, mi disse correndo: «Dai, da questa parte, li ho visti io, non possono essersi allontanati». Io corsi un po’ dietro a lui.

Poi mi fermai, sudato. Non c’era più nessuno, non si sentivano più grida. Rimasi con le mani in tasca e ripresi a passeggiare, solo e a caso.

[Fine dell’estratto da “Prima che tu dica pronto”]